Stop n. 2

"Il muro"

Ci troviamo all’imbocco della grotta di San Giovanni, che si può definire un vero e proprio traforo
idrogeologico naturale del monte Acqua e costituisce il monumentale accesso alle vallate retrostanti, zone
di molteplici valenze dell’auspicato parco del Linas. La struttura è costituita da ampia grotta galleria,
impostata su una serie di faglie inverse con direzione principale N-S e NE-SW con una serie di rami laterali di notevole estensione; alcuni di questi, completamente allagati, costituiscono la parte attiva.

La grotta “non è sempre stata e sempre sarà” ma quello che si può vedere è il risultato di una serie
di meccanismi evolutivi di origine chimica e fisica e legati alla natura calcarea delle rocce di questo territorio. I calcari di per se sono insolubili ma le acque meteoriche quando attraversano gli ultimi strati dell’atmosfera e poi incontrano il suolo si arricchiscono in anidride carbonica e diventa acida. Queste acque acide sono in grado di aggredire il calcare trasformando il carbonato di calcio in bicarbonato di calcio che solubile. Queste acque dunque agiscono lungo le fratture sciogliendo la roccia e ampliando le fratture originarie fino alle dimensioni che possiamo vedere. E’ quello che si definisce processo carsico. All’azione chimica si aggiunge l’azione fisica creato dall’energia di un fiume in fase di scorrimento, in fase di piena l’abbondanza di acque imprimono una velocità di flusso che riesce a trasportare i sedimenti che sono tanto più grossi, quanto è maggiore la velocità (e la portata) dell’acqua; anche l’azione abrasiva di questi sedimenti incidono non poco nella evoluzione dei condotti carsici.

Come abbiamo detto, la struttura che di gran lunga ha condizionato lo sviluppo della grotta è quella
costituita da un sistema di faglie inverse con direzione N-S, che può essere tra l’altro ricostruito lungo tutto l’asse principale della galleria. Le faglie appartenenti a questo sistema, tutte con immersione verso Ovest.

L’azione chimica dell’acqua non dura all’infinito, quando, infatti, la soluzione di bicarbonato è satura
(che significa che l’acqua non è più grado di sciogliere) avviene il meccanismo inverso del processo carsico, cioè il carbonato di calcio precipita con meccanismi di deposizione molto lenti e che portano alla formazione delle concrezioni. Queste possono essere stalattiti, stalagmiti e colate; a seconda dei meccanismi di deposizione. All’interno della grotta sono presenti grandi e spettacolari concrezioni a vaschette sovrapposte (gours) i più grandi d’Italia, imponenti colate e concrezioni stalagmitiche, sono più rare le stalattiti.

Presso l’ingresso sud è captata dal 1912 la sorgente che alimentava l’acquedotto ausiliario di Cagliari.
Lo scaturire delle acque in cascata dalla sorgente fece appellare la grotta come “Sa grutta ‘e s’acqua arutta”.

L’azione dell’uomo, fin dai tempi antichichissimi, è ben visibile; ci troviamo, infatti, in prossimità dei
resti di quello che era un possente muro preistorico che chiudeva l’imbocco della grotta; analoghi resti
troveremo all’imbocco Nord. La grotta era stata chiusa da queste mura che dalla bibliografia sappiamo avere uno spessore di quattro metri e si accedeva dall’ingresso sul lato e si riscendeva tramite una scala. Purtroppo non abbiamo documentazioni fotografiche di queste mura, esiste solo un disegno fatto da Alberto Lamarmora e pubblicato, insieme alla descrizione, nella sua opera “Voyage en Sardaigne”. Anche il canonico Angius tratta del muro e ne fa descrizione nell’opera del Casalis “Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna”. Riteniamo sia verosimile la ricostruzione fatta dagli autori secondo i quali le mura sono interpretate come fortificazioni difensive della grotta che verosimilmente è stata abitata da quelle popolazioni neolitiche.

L’azione umana si poi è riproposta, anche pesantemente, in periodo di rivoluzione industriale.
L’antico percorso naturale della cavità viene, infatti, pesantemente modificato nella seconda metà del 1800, con la costruzione di una strada sopraelevata, rispetto all’alveo del torrente interno, che attraversa tutto l’asse longitudinale della grotta. Questa strada fu fatta realizzare dai concessionari del taglio dei boschi a monte, il conte Pietro Beltrami e, a succedere, il cavalier Gaetano Semenza con l’imprenditore Bernardo Fabbricotti. La costruzione della strada fu fatta per facilitare il trasporto del legnatico e carbone a valle ma fu una grande facilitazione anche per il trasporto delle produzioni minerarie delle varie miniere a monte della grotta. Il trasporto fu concesso anche a terzi previo pagamento del pedaggio in base al tonnellaggio trasportato. Forse fu una delle prime vie a pedaggio del neonato Regno d’Italia.

Questa caratteristica la rende una delle quattro grotte al mondo naturali e transitabili da traffico motorizzato (le altre sono la grotte del Mas d’Azil in Francia lunga circa 450 metri, la seconda è la cueva dell’agua a Ribadesella un villaggio delle Asturie in Spagna, la grotta ha uno sviluppo di circa 300 metri, l’ultima nota è la Jenolan cave in Australia con uno sviluppo di 150 metri). Per le sue caratteristiche è una delle poche grotte accessibili al turismo dei diversamente abili.